Fondatore dello studio Migliore+Servetto Architects insieme a Mara Servetto, Ico Migliore ci racconta come il progetto sia una creatività fluida e senza schemi precisi, ma avendo una visione basata sul rapporto tra lo spazio e il suo fruitore

Proseguiamo il nostro viaggio nel mondo della progettazione e del design intervistando Ico Migliore. Un approccio al mondo del progetto fatto di analisi del contesto e della funzione di un luogo, ma soprattutto di come il luogo deve interagire con il fruitore dello spazio.

Il progetto: come nasce l’idea e come il professionista può e riesce a trasferire una propria visione personale.

Ico Migliore – Secondo me la cosa interessante è che tutto è progetto. Da quando ti svegli la mattina a quando vai a dormire tutto quello che faccio è progetto. Il progetto è il rapporto con il committente, il rapporto con delle opportunità. L’idea si genera dai contenuti che devono essere risolti. Ad esempio noi abbiamo delle idee che trovano la soluzione attraverso il processo, non attraverso lo stile. L’idea quindi nasce dall’analisi di un problema, di una tematica, e poi questa tematica cerchiamo di svilupparla attraverso un processo, un metodo. Quindi come nasce un progetto? Nasce dal cercare di capire un’idea e spostare l’obiettivo della risposta un po’ oltre le richieste, che vuol dire cercare quel margine di innovazione che normalmente è la cosa più difficile da trovare. Un progetto deve sempre avere una variabile di qualità innovativa che serve a migliorare il rapporto tra il cliente e l’oggetto finale del proprio progetto. Normalmente il rapporto con il cliente e il progetto non è facile, è abbastanza stressante, perché dobbiamo stressare questo rapporto per arrivare a qualcosa di diverso. Se si va troppo d’accordo con il cliente, sin dall’inizio, e quindi apprezza la totalità del tuo lavoro, ci sono due motivi: o non gli interessa realizzare la cosa, o ancora peggio non vuole poi pagarti. Se la cosa gli interessa e vuole pagarti ti stressa, e da questo confronto nascono le idee migliori.
L’idea nasce dallo spostamento di campo: non progetti mai nello stesso ambito, e il pensare a cose diverse porta quel livello di innovazione che la ripetizione non può generare.

C’è un carattere tipologico che identifica Ico Migliore, che fa capire alla prima occhiata che si tratta di un tuo progetto?

Blue Line Park – Foto courtesy Migliore Servetto

Ico Migliore – Non saprei. In alcuni casi mi hanno detto “si vede che è un tuo progetto”, ma io non lo vedo. Non si tratta di uno stile immediatamente identificabile: una costante c’è, ed è il rapporto tra sfondo e figura, cioè il rapporto tra contenitore/ambiente e oggetto che devo collocarci, ed è sempre un rapporto custom made anche se vengono utilizzati dei prodotti in commercio. Nel nostro lavoro c’è sempre anche una sovrapposizione leggera tra l’aspetto tridimensionale e bidimensionale della comunicazione grafica e quello ambientale di cosa accade all’interno dello spazio, ad esempio come agisce la luce. Mi piace di più che dicano che si vede che non lo abbiamo fatto noi, perché si riconosce un processo o la sua mancanza e non uno stile grafico. Lavoriamo sempre sovrapponendo i layer dall’inizio, ad esempio lavorando non su un tavolo e quattro sedie ma su cosa succede attorno a quel tavolo e a quelle quattro sedie, a livello di ambiente, di luce.

Dmail Store – Foto courtesy DMail

L’architettura: l’edificio è una scatola? Quali aspetti deve contenere? in che modo interagisce con il suo fruitore?

Ico Migliore – L’architettura è un ambiente che si genera dai comportamenti abitativi che ci sono all’interno di questo spazio. Inteso come la scatola, cioè il building, possiamo ragionare come contenitore, ma per me la parte interessante è sviluppare il rapporto tra contenitore, contenuto e ambiente. L’architettura si genera non tanto da una forma ma da un modo di interpretare il rapporto tra l’uomo, al centro, e di come avviene il dialogo con quello che lo circonda. Quando parlavo del rapporto sfondo-figura mi riferisco a questo, sono io seduto su una sedia, questa sedia rispetto a questa parete, la parete rispetto a quella finestra, quella finestra rispetto all’intorno. In questo modo si genera un progetto di qualità.

Dmail Store – Foto courtesy DMail

In questo processo come si inserisce il design, inteso come progettazione dei singoli elementi?

Ico Migliore – Design è un termine super inflazionato. Design significa progetto. Quando uno pensa a cosa succede all’interno di un luogo, di una casa, segue una sceneggiatura, un testo che porta a trovare il rapporto tra i vari elementi. Noi scriviamo testi abitati: il design senza il vuoto non funziona, è uno strumento di servizio che mi permette di fare determinate cose. In alcuni casi si scelgono cose che si trovano, in altri casi oggetti che devono essere progettati, o anche modificati. Il progetto è ricerca di armonia, quindi come creare relazione tra oggetti e ambienti, tra pieni e vuoti, appunto tra sfondo e figura, e il design ti aiuta a trovare questo equilibrio.

I materiali: la scelta di materiali e finiture nasce da una ricerca che definisce un progetto o avviene per dare carattere e personalità agli ambienti?

La Magnifica Fabbrica – Foto Andrea Martiradonna

Ico Migliore – Quando faccio una riga su un foglio faccio una scelta, partendo proprio da che tipo di penna, o da quale carta uso. E nel momento che la penna lascia un segno, questo è già progetto, è già espressione di un’idea e identifica anche un materiale. Se disegno una parete in essa trovo già una identità precisa, esprimo una scelta che si relaziona al contesto, all’ambiente, quindi il segno esprime già la sua consistenza, la sua trasparenza o meno, come reagisce in relazione alla luce, agli oggetti che compongono la scenografica complessiva. Secondo me è interessante non appassionarmi mai a un’idea di materiale, perché il segno che traccio su un foglio di fatto è un limite, esclude altre mille possibilità se si identifica con una sola scelta. Preferisco disegnare, trovare molti layer e poi andare a eliminare quelli che secondo me non si adattano ed esprimono quel rapporto e quella relazione tra le diverse componenti. Una linea è solo una linea, e tale deve restare fino a comprenderne pienamente il senso e quindi anche la sua matericità, ma la scopro solo cercando questi piani di relazione, non parto sapendo già se è un muro di pietra o di vetro. Il consiglio che do sempre ai miei studenti è quello di conoscere più materiali possibili, senza preconcetti, capendone la sostanza e cercando anche di capirne i limiti, e magari trovare il modo di superarli, sperimentando nuove applicazioni, utilizzi. Non parto mai dal materiale, parto dal contenuto.

La Magnifica Fabbrica – Foto Andrea Martiradonna

Personalizzazione e creatività…

Ico Migliore – Mi piace progettare cosa succede all’interno di un luogo. Mi piace concepire l’architettura intesa come un’architettura permeabile. Noi progettiamo architetture “dove ci piove dentro”. Mi piace l’idea del bosco, dello spazio dove si trovano cose, con un riparo casuale: un progetto aperto, dove convivono molti materiali, dove ci sono tecnologie sovrapposte, dove cerchiamo di avere un mix armonico. Deve esserci un criterio di base, un filo conduttore che permette una sorta di funzionalismo poetico dove posso esprimere una creatività che non è fine a sé stessa, non deve compiacersi nella pura estetica ma raccontare un modo di interpretare lo spazio e come viverlo. In questo modo la creatività, che come concetto assoluto mi spaventa un po’, diventa saper spostare gli equilibri e quindi esprimere il senso di progettare. Personalizzare significa spesso utilizzare oggetti comuni in modo diverso, non deve essere qualcosa da ricercare a tutti i costi solo per la ricerca di una ricerca di originalità.

Foto courtesy DMail

Ci sono delle tipologie di ambienti che preferisci progettare, che ti danno maggiori stimoli?

Ico Migliore – Diciamo cosa non mi piace molto progettare, anche se è un peccato, vorrei in realtà farne di più: la casa della “signora Maria”. A me piace partire da un testo, un contenuto, e raccontare delle storie. Mi piace lo spazio aperto, le città, quindi progettare una piazza, raccontare storie urbane, un po’ come un regista di spazi che non come progettista di spazi. Nella casa privata questo succede meno spesso, perché l’abitazione risponde più a un bisogno di nido, di spazio privato, di isolarsi dal mondo che ci circonda. Certo dipende dal committente: ho progettato interni di cui vado molto fiero, ma perché con il committente abbiamo approcciato il progetto in modo più aperto, creando rapporti nello spazio e tra gli spazi, e questo ha permesso di fare un racconto, di mettere in scena delle cose. Musei, mostre, retail, in pratica le architetture da condividere, mi piacciono di più proprio per questa maggiore libertà di aprire uno spazio al pubblico, coinvolgerlo raccontando una storia, uno spazio di cui ci si può impossessare fruendone, vivendolo.

Foto courtesy DMail

C’è un cambiamento in atto nella progettazione, e quali sono le variabili chiave per comprendere questa evoluzione?

Ico Migliore – Stiamo passando da una cultura della comunicazione a una cultura del condividere, e saper progettare la condivisione è il futuro del design. Dobbiamo pensare allo spazio come un qualcosa da vivere e progettare i comportamenti dell’uomo in questo spazio. Vale ad esempio per la sostenibilità, tema sempre più importante e ricorrente nell’architettura: sostenibilità non è non usare la plastica, fermo restando che meno ne usiamo meglio è, ma è come ci comportiamo nei confronti di questi materiali, della vita di tutti i giorni. In Asia, in Giappone, non ci sono i cestini per l’immondizia, perché la gente è abituata a gettare i rifiuti a casa, facendo anche la differenziazione. Ecco che allora non risolvo un problema mettendo più cestini, ma sostenendo un comportamento che risolve in modo preventivo il problema.
Credo che le variabili più interessanti, almeno per me, siano tempo e velocità. Io penso sempre al rapporto temporale con l’oggetto.

Allestimento Madonna Litta – Foto courtesy Migliore Servetto

Noi progettiamo gli ambienti non pensando alle distanze ma al tempo: quanto tempo ci metto ad attraversare questa stanza? In quanto tempo il mio occhio intercetta quella luce? Quanto tempo stiamo in questo luogo? Il tempo di uso è un fattore chiave della progettazione, perché determina le scelte che il progettista può e deve fare.
L’altra variabile interessante è la velocità. Nell’architettura di interni più aumenta la velocità più aumenta la necessità di spazio. I cartelli in autostrada sono grandi, perché devono essere leggibili a distanza visto che vado molto veloce. Quindi la velocità con cui fruisco di uno spazio determina anche i rapporti spaziali all’interno di esso e il modo in cui posso comunicare. Nel retail, nei musei, ci sono testi che devono essere letti, e in base al contenuto ci metterò più o meno tempo, e questo significa progettare lo spazio in funzione di questa variabile, e negli spazi da condividere dobbiamo dare al cliente il tempo di leggere e quindi lo spazio adatto a farlo.

www.miglioreservetto.com

Allestimento Madonna Litta – Foto courtesy Migliore Servetto

Migliore+Servetto Architects
Ico Migliore e Mara Servetto, Migliore+Servetto Architects, realizzano a scale diverse progetti di space identity per istituzioni e aziende: dall’architettura al retail, dai musei alle installazioni, dall’urban design alla visual identity. I loro lavori sono stati riconosciuti da numerosi premi internazionali tra cui tre Compasso D’Oro ADI (2018, 2014, 2008). Ico Migliore insegna al Politecnico di Milano ed è visiting professor presso la Dongseo University di Busan (Corea del Sud); Mara Servetto è visiting professor presso la Joshibi University di Tokyo. A Busan, in Corea del Sud, stanno lavorando alla trasformazione in un parco tematico e acustico di 5 km di ferrovia dismessa in affaccio sul mare. In Italia, hanno progettato il Padiglione Italia alla XXII Triennale di Milano “Broken Nature”; a breve con Italo Lupi realizzeranno il nuovo ADI Design Museum che ospiterà la storica Collezione del Compasso d’Oro a Milano.

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